GERMANICO, A UN PASSO DALL’IMPERO
Germanico Cesare, principe designato all’Impero, morì a 34 anni nel 19 d.C. ad Antiochia in Siria al culmine della carriera politica e all’apice della popolarità. Il suo carattere, le sue capacità militari, lo resero idealmente l’unico degno di Augusto e successore designato del padre adottivo Tiberio.
La moglie Agrippina ne riportò a Roma le ceneri, accompagnata dai figli, tra i quali il futuro imperatore Caligola, mentre Roma e tutte le città in lutto tributavano onori.
L’immagine tramandata lo presenta come l’incarnazione del condottiero: esperto nelle armi e abile diplomatico, difensore della fusione tra Oriente e Occidente, dotato di un carisma dirompente per intellettuali, plebe, aristocrazia e popolo.
Transitata attraverso le interpretazioni della modernità, soprattutto nella Francia del XVII secolo e all’epoca di Napoleone, la figura politica e intellettuale di Germanico è giunta a noi come un modello capace trasmettere l’identità della cultura romana in Europa.
Le tracce materiali di questa eredità sono visibili nei musei di tutto il mondo: al Louvre è conservato un ritratto di Germanico in marmo greco rinvenuto a Gabii; un quadro di Poussin conservato al Minneapolis Museum of Fine Arts raffigura la sua morte, mentre il dolore di Agrippina incarna un modello culturale neoclassico e poi romantico nell’acquaforte di Runciman alla Tate e in un dipinto di Alma Tadema della Collezione Pèrez Simόn.
IL GERMANICO DI AMELIA
Il mito di Germanico tra antico e moderno è incarnato nella statua di bronzo i cui frammenti emersero dal sottosuolo di Amelia nel 1963 e che, ricomposta e restaurata, è ora esposta in una sala del Museo Civico Archeologico.
La statua rappresenta Germanico, vestito di una corazza militare, nel momento dell’adlocutio: quando, davanti all’esercito schierato, l’imperator rafforzava con le parole la consapevolezza dei soldati e la loro identificazione con il destino dello stato prima di uno scontro o di una campagna militare.
Quanto salta all’occhio è l’elaborata e simbolica lorica muscolare con al centro l’agguato di Achille a Troilo. Chissà se chi scelse la scena pensò a Germanico come al nuovo Alessandro e quindi fece riferimento ad Achille, eroe prediletto da quest’ ultimo; oppure al personaggio di stirpe regale morto giovane e per mano violenta avvicinandolo a Troilo; o infine, lesse nella vita di Germanico due destini, quello di vincitore e quello di vittima.
Nessuno potrà mai dirlo e questa lettura iconica rende ancora più affascinante l’opera che, come i Bronzi di Riace, è patrimonio (ancora poco conosciuto) di un’identità locale da promuovere attraverso quello che potrebbe diventare un marchio col nome di Germanico di Amelia.