Condannato a morte da Caligola e poi graziato, esiliato da Claudio e poi richiamato a Roma e precettore del futuro imperatore Nerone, infine suicida sulla spinta di quest’ultimo.

La vita (e la morte) di Seneca, filosofo, scrittore e drammaturgo, è stata un’avventura all’interno di uno dei periodi più importanti della storia di Roma: quello che lo ha legato alla dinastia Giulio-Claudia.

12 APRILE 65 d.C. – MORTE DI LUCIO ANNEO SENECA

Come ci ricorda Tacito, che negli Annales dedica alla morte ben tre paragrafi (Annales XV, 62-64), nel 65 d.C. Seneca fu spinto al suicidio dall’imperatore Nerone accusato di aver partecipato alla congiura dei Pisoni.


LA CONGIURA

Passati tre anni nei quali Seneca si era ritirato a vita privata e Nerone era sotto l’influsso del prefetto delle guardie pretoriane, Gaio Ofonio Tigellino, un gruppo di senatori e cavalieri guidati da Gaio Calpurnio Pisone, stufi degli eccessi dell’imperatore, provarono a organizzare una congiura.

Traditi dal liberto Milico, alcuni vennero condannati a morte, altri costretti all’esilio, altri ancora a suicidarsi.

Non è dato sapere se Seneca partecipò attivamente alla congiura ma, probabilmente, ne era a conoscenza.


LA MORTE

Non essendo Tacito un grande estimatore di Seneca è strano il fatto che descriva il filosofo di fronte alla morte con un’espressione di tanta e tale nobiltà da renderlo quasi irreale.

Seneca diviene una sorta di saggio che, negli ultimi anni della sua vita e con la morte riesce a riscattare le tante ambiguità della propria esistenza – in primis la morte di Agrippina, madre di Nerone.

Di ritorno dalla Campania insieme alla moglie Paolina, Seneca fu raggiunto dal Tribuno dei pretoriani Gaio Silvano all’interno di uno dei poderi del filosofo a quattro miglia da Roma.

Quest’ultimo non volendo uccidere Seneca lasciò il compito a un centurione.

Busto di Seneca con citazione sulla sua concezione della morte "attraverso il periodo che va dall'infanzia alla vecchiaia, diventiamo maturi per un altro parto.
Ci attende un'altra nascita, un altro ordine di cose "
Seneca

Le parole di Tacito dagli Annales.

GLI ULTIMI MOMENTI DELLA VITA DI UN FILOSOFO

Seneca, impavido, chiese che gli portassero le tavole del testamento e, poiché il centurione rifiutò, si volse agli amici dichiarando che, dal momento che gli si impediva di dimostrare la sua gratitudine, lasciava a loro la sola cosa che possedeva e la più bella, l’esempio della sua vita.

Se di questa avessero conservato ricordo, avrebbero conseguito la gloria della virtù come compenso di amicizia fedele.

Intanto frenava le lacrime dei presenti. Ora col semplice ragionamento, ora parlando con maggior energia. E richiamando gli amici alla fortezza dell’animo, chiedeva loro dove fossero i precetti della saggezza, e dove quelle meditazioni che la ragione aveva dettato per tanti anni contro la fatalità della sorte.

A chi mai, infatti, era stata ignota la ferocia di Nerone?

Non gli rimaneva ormai più, dopo aver ucciso madre e fratello, che aggiungere l’assassinio del suo educatore e maestro

Annales XV, 62 – Tacito
Dipinto a olio della morte di Seneca di Jean Luiz David con al centro il filosofo morente mentre si dissangua, e intorno la sua corte con la moglie Paolina
Morte di Seneca – Jean Luiz David ///  Petit Palais, Parigi

LE PAROLE ALLA MOGLIE

Come ebbe rivolto a tutti queste parole e altre dello stesso tenore, abbracciò la moglie e, un po’ commosso dinnanzi alla sorte che in quel momento si compiva.

La pregò e la scongiurò di placare il suo dolore e di non lasciarsi per l’avvenire abbattere da esso, ma di trovare nel ricordo della sua vita virtuosa dignitoso aiuto a sopportare l’accorato rimpianto del marito perduto.

La moglie dichiarò, invece, che anche a lei era destinata la morte, e chiese la mano del carnefice.

Allora Seneca, sia che non volesse opporsi alla gloria della moglie, sia che fosse mosso dal timore di lasciare esposta alle offese di Nerone colei che era unicamente diletta al suo cuore: «Io ti avevo mostrato», disse, «come alleviare il dolore della tua vita, tu, invece, hai preferito l’onore della morte: non sarò io a distorglierti dall’offrire un tale esempio.

Il coraggio di questa fine intrepida sarà maggiore nella tua morte». Dette queste parole, da un solo colpo ebbero recise le vene del braccio.

Seneca, poiché il suo corpo vecchio ed indebolito dal poco cibo  offriva una lenta uscita al sangue, si recise anche le vene delle gambe e delle ginocchia.

Abbattuto da crudeli sofferenze, per non fiaccare il coraggio della moglie e per non essere trascinato egli stesso a cedere di fronte ai tormenti di lei, la indusse a passare in un’altra stanza.

Anche negli estremi momenti non essendogli venuta meno l’eloquenza, chiamati gli scrivani, dettò molte pagine, che testualmente divulgate tralascio di riferire con altre parole.

Annales XV, 63 – Tacito
Particolare del dipinto a olio "Morte di Seneca" con il ritratto di Seneca di Rubens
Morte di Seneca, Particolare – Pieter Paul Rubens /// Alte Pinakothek, Monaco di Baviera

LA MORTE

Pertanto Nerone, non avendo alcun rancore personale contro Paolina, diè l’ordine di impedirne la morte perché non s’accrescesse l’odiosità della sua ferocia.

All’imposizione dei soldati i servi e i liberti legando le braccia trattennero il sangue a lei che non sappiamo se di tutto ciò avesse o no la sensibilità.

Poiché il volgo è sempre incline a credere le cose peggiori, non mancarono coloro che credevano che, fino al momento in cui ebbe ragione di temere l’implacabilità di Nerone, Paolina aspirò alla gloria di unire la sua morte a quella del marito.

Poi, colto un barlume di speranza di più mite sorte, fu vinta dalle lusinghe della vita.

Visse ancora pochi anni, conservando sacra memoria del marito, nel volto e nel corpo bianco di quel pallore che era segno palese della vitalità perduta.

Seneca, frattanto, protraendosi la morte lenta, pregò Anneo Stazio da lungo tempo amico suo e famoso per l’arte medica, di propinargli quel veleno già da tempo provveduto, col quale si facevano morire gli Ateniesi condannati in pubblico giudizio.

Avutolo, lo tragugiò invano perché il gelo aveva già invaso le membra ed il corpo era ormai refrattario all’azione del veleno.

Alla fine, entrò in una vasca piena d’acqua, spruzzandone i servi più vicini a lui e dicendo di fare con quel liquido libazione a Giove liberatore.

Fu portato poi in un bagno a vapore dove morì soffocato.

Fu cremato senza alcuna solenne cerimonia funebre, come aveva prescritto nel suo testamento, quando ancora nel pieno della ricchezza e della potenza aveva dato disposizioni intorno alle sue ultime volontà.

Annales XV, 64 – Tacito
Dipinto a Olio di Manuel Dominguez Sanchez che rappresenta la morte e il suicidio di Seneca
Morte di Seneca – Manuel Domínguez Sánchez /// Museo Nacional del Prado, Madrid

Morì così in questo modo lento e straziante, prima tagliandosi le vene, poi bevendo cicuta e immergendosi in una vasca di acqua calda, Seneca – uno dei più importanti filosofi della romanità.


IL BIMILLENARIO DI GERMANICO CESARE

Il 22 marzo 2019, con l’evento Valerio Massimo Manfredi racconta Germanico Cesare, sono iniziate ufficialmente le Celebrazioni per il Bimillenario della morte di Germanico.

Le attività  sono proseguite per tutto il 2019 poi per tutto l’anno – con il Convegno Internazionale del 24-25 maggio e la Mostra/Installazione dal 19 ottobre, data della morte del generale romano, sino al 24 maggio 2020.

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